Surrealist Art Zone by Pinina Podestà

 



Winchester House

Da una storia e con la voce di Nina Maroccolo 

Musica composta da Orchestra Esteh (Vinz Notaro, feat. Egon Viqve alle chitarre noise)

Video-arte di Pinina Podestà

"Winchester House" è tratto dalla silloge di racconti "MALESTREMO - Sedici viaggi nell'Altrove" Nina Maroccolo (Tracce, 2013)


Sabato 15 febbraio alle ore 21.00 | Roma, ALEPH, Vicolo del Bologna 72
Presentazione della Corale Artistica Europea

 

 

 

 

 

 

il video

Winchester House from Pinina Podestà on Vimeo.

 

 

Per Pinina Podestà
dispersa nella cupa magia
di “Winchester House”

    “Svegliandomi una mattina da sogni agitati, mi trovai trasformata, nel mio letto…”. Con la sferragliante, orrida e logica  sequela quasi d’un racconto di Poe, “Winchester House” (e la sua impavida cronista,Nina Maroccolo) ci incalza l’anima, proprio non le dà tregua… Una luce catastrofica, intonerebbe Dino Campana, presiede ad ogni attimo o sequenza del cadenzato, rapinoso cortometraggio. Catartico, certo: ma impennato e capriccioso come i versi del nostro grande poeta, pazzo ed orfico in dirompente equilibrio.
Siamo a “Winchester House”, cioè nella dimora della moglie dello statunitense Oliver Fisher Winchester di New Haven (1810-1880), l’inventore dell’omonima carabina a ripetizione (15 colpi!, primo tipo del 1860) con cui gli yankee in pratica stravinsero l’efferata, malvagia guerra coi nativi, cogli indiani d’America, loro sì mitici, orgogliosi guerrieri fratelli di Natura, umiliati e fulgidi lanciatori di frecce.
Il progresso anche tecnico, gli oliati e metallici ingranaggi meccanici – contro le divinità ctònie, tantriche, finanche ancestrali… Il winchester, insomma,contro Toro Seduto (ca 1831-1890, l’eroe capo Sioux Hunkpapa di “Little Big Horn”, 1876): micidiale e indefettibile brevetto di Futuro, nella disfida infernale che chiamiamo Storia. E quella dell’anima? Gli ingranaggi, gli scatti e le percussioni mentali di Madame Winchester?
 
    “Donna a terra, humus di terra è questa casa anemica vitale di fosforo.” motteggia Nina  Maroccolo, scrittrice fiorentina, nonché performer, cantante, anche lei incarnata per cicatrice artistica nella sintesi breve, cauterizzante, d’un’ustione al cuore.
Pinina Podestà viene invece da Augusta (Siracusa), in Sicilia – ma si è già consolidata, diciamolo, come giovane e già brava artista internazionale. Lei non dimentica che la sua cittadina sul mar Ionio, nel golfo omonimo, sorge su un’isola, unita alla terraferma da due ponti. E contiene, suffraga la Storia (già colonia greca di Megara Iblea, fu fondata da Federico II, porto militare sotto gli aragonesi, vi salparono per Lepanto le flotte cristiane contro i Turchi, fu distrutta da un terremoto nel 1693 – e si riparte)… Pinina sboccia con la pittura – le illustrazioni – passando abilmente dalle vernici tradizionali alla digital art.
“Videoartista”, suol dirsi oggi, e d’eccellenza. Ma conta ancor più elogiarne lo stile denso, serrato, il temperamento.
Lasciamo stare le etichette e le categorizzazioni (lei stessa parla di “exquisite corpse”: dove corpse letteralmente è la salma, il cadavere, ed exquisite significa perfetto, raffinato, squisito). Diciamo che un imperituro, sinuoso surrealismo, la ospita e l’ingemma. Un’italica Frida Kahlo del Terzo Millennio (penso a certi quadri o piccoli, affollati “retabli” della mitica messicana come Mosè o il nucleo solare, Ciò che ho visto nell’acqua, L’abbraccio amorevole dell’universo)?…
  
   Si diceva che la battaglia non è quella proprio da film, in cui morì e furono trucidati il colonnello Custer e il suo 7° cavalleggeri, a loro volta crudeli artefici del massacro dei cheyenne a Washita (1868), 8 anni prima (l’8, non è segno d’infinito?) – ma l’altra inestinguibile, che ancora e sempre continua tra il sogno, la prevaricazione sado-maso del progresso che incombe, danna e non certo libera, ci imprigiona a casa, e tutto un mondo insito, innato, sotterraneo e ancestrale che ci portiamo dentro, ci annette e ci reclama.

Ecco, Pinina era forse la regista giusta a poter visualizzare, restituire questo racconto secco, metallico di Nina Maroccolo, a ripetizione ed esplosivo come una carabina winchester, minuziosamente efficace, geometrica e crudele. La dimora da incubo, il neo-gotico kitsch di Winchester House, sul cui lucido pavimento marmoreo ogni secondo cade un bossolo, ogni istante fuma e si placa un proiettile d’immagine, mentre un cavallo galoppa, lanciato come dentro una favola, a salvarsi.

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   Intanto la musica incalza, abbraccia e quasi sferza, diremmo, l’architettura perfetta dell’incubo in divenire, crescere, fluire, scattare come un meccano, un ingranaggio dentato e feroce che stritola ogni illusione d’Utopia. Vinz Notaro, musicista prezioso, ha infatti scelto un andamento serratissimo, aiutato dalle chitarre noise di Egon Viqve (sublime “frastuono”, s’intende!).
Ma ecco che sulla destra tornano a scorrere numeri vorticosi (il 13, il 19…)! Un baratro di archetipi sciorina e punge un po’ ovunque, nella dimora vecchia ma sempre attuale di Sarah Winchester, la moglie del famoso fabbricante d’armi, che edificò e abbellì in surplus il suo mostruoso labirinto borghese: “Tentai di cementare coll’erba i fili i fiori gli ori, il calcestruzzo, laggiù – ov’era già biacca l’arte del dire, ruminante in quell’incedere solenne per consacrarsi illacrimata sepoltura…”
   Sì, agiata padrona di casa e sepolta viva. Benestante vestale, novella Rea Silvia, che amoreggia con Marte ma fa spegnere il fuoco – si condanna a morte certa e lentissima, che forse ancora dura… Perché Winchester House era e ancor più diviene oggi come un luogo (uno sguardo!) contemporaneamente macabro e kitsch, un museo dell’orrore nato assieme al Moderno, e oggi rispolverato a suo specchio e ganglo, certo per auscultarci l’anima, la tara contemporanea, i mostri con cui coabitiamo e che ci visitano, c’insidiano – perfino ci placano: “avrei finito d’imparentarmi con marmaglie di topi, cavalli, metafore, perfino con l’aramaico…”
   Anche qui, Kafka docet, se presto le movenze danzanti della protagonista s’adombrano della presenza d’un immenso insetto scuro, un antropomorfico scarafaggio alla Gregor Samsa…

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   Terzultimo, affilato breve racconto di Malestremo, l’inquieto e perfetto libro di Nina Maroccolo che intelaia “Sedici viaggi nell’Altrove”, è il momento forse più metafisico e desolato, in pausa con la vita che non scorre, non redime né si pacifica, dunque s’ingorga incubo, parusìa ribaltata, contrariata: “Là – nella zolla dell’urlo c’è un corpo”.
Un corpo che prima danza, poi sale e scende le scale, come un tic meccanico, un lapsus stesso emotivo… Eccolo, il nostro corpo rimosso divorato dagli incubi, dal malessere, dal futuro che avanza e lo allontana dal cuore, dal suo cervello insanguinato di se stesso, e della Storia che lo (ci) sovrasta. Poetava Paul Valéry: “Venuto qui, l’avvenire è stanchezza, / L’insetto nero gratta la secchezza; / Tutto è bruciato, sfatto, assunto in aria / Entro non so quale severa essenza…”.

La numerologia, il labirinto, un cervello rosso di sangue (no, non “nero” – come scrisse la Yourcenar delle settecentesche “Carceri d’invenzione” del Piranesi!)… Una scalinata, a destra, non conduce solo al piano di sopra, ma addirittura in un altro secolo, nell’altro girone d’una dantesca Comœdìa… una strana figura risale gradino per gradino, scompare e riappare, risucchiata come in un gioco infantile e macabro al contempo. Ma Lei/Pinina ci danza davanti – sopra un ordito umbratile di volatili terrifici e mosche giganti… Un occhio sbatte, sbatte e guarda, diventano Due, l’insetto cardine cresce e s’accresce il simbolo! Fantasmini corrono, corrono come da fermi… Nina con la sua voce sullo sfondo allerta e ritualizza, sia il corpo che la zolla dell’urlo, le “voragini illetterate”…

   E dov’è più la Natura? Dov’è l’Amore? Uccellacci alla Hitchcock svolano via e tornano e s’assiepano contro un’inquietante finestrona da chiesa, istoriata e piombata di orrida luce… Altro che la moda del finto-gotico o del thriller od horror o fantasy patinato di miele e maghetti, che diverte e ammalia in 3D i nuovi giovani!
Qui il cervello scende a cuore e il cuore a viscere – poi risale a battito, e pulsione mentale, scossa, epilessia dell’Arcano… Qui Kafka ci ha dato appuntamento (“Quando sono a letto, ho la silhouette, mi pare, d’un grosso coleottero, d’un cervo volante o d’un maggiolino…” – Beschreibung): ma parla inglese, sputa sigari e conta i dollari in bigliettoni dei brevetti di Mr. Winchester, li rimette in una tasca del panciotto. Sua moglie offre il thè alle amiche, protestanti devote o nevrotiche suffragette, taglia la torta di mele, e poi gioca a farle perdere nel labirinto “fuori” in giardino, le segrete “dentro” casa, il carcere della propria mente.
   Lo scarafaggio Gregor diventa come una macula da peccato originale, anzi una macchia di Rorschach (il celebre test proiettivo): – freme e muta, cresce e spasima, soffre infoiato, quelle macchie le mima e quasi le indossa, le varia e le riassume tutte… All’impazzata ruotano i numeri, ad libitum, le evangeliche lettere, sempre in aramaico; il cavallo galoppa ancora, la Loie Fuller danza (1862-1928, precorse la danza libera della Duncan) – o meglio, Pinina danza in movenza d’ombra e ali di tessuto con gli avvitamenti vaporosi e concentrici della Fuller… Il cervello ora è pulito, ma “la rozza famiglia scarabeide” s’infiamma, l’insettone adesso s’è mangiato tutto, tutta la casa gronda sangue, il cervello resta in mezzo al suo labirinto, volano uccelli neri, “sogni agitati”, dissolvenze terrifiche e domestiche.

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   Winchester House! (“Invece, m’inurbai tra pareti di casa, lontana dai pascoli umani.”)… Un mito, un refuso stesso dell’architettura e della Storia, maldestra tra parodia noir e costume ottuso, un Epochè forse definitivamente crudele, inferocitosi per gioco, e noia e dispetto… Nina e Pinina ora per fortuna ce ne hanno dato le chiavi, si ammettono visite di gruppo (sconti per comitive). Aperto anche la domenica, lunedì chiuso.
Pinina ricontrolla le luci umbratili, impeciate, da Caravaggio in Sicilia o a Malta, dicevano, che “ha il cervello stravolto dalla passione” (cfr. la Resurrezione di Lazzaro a Messina: quella mano, quel braccio destro alzato, non più cadaverico ma rinsanguato, che quasi ha paura della luce, vorrebbe fermarla, impedirsela; o la luce gialla e impassibile, notomizzatrice, della Decollazione del Battista nella cattedrale de La Valletta)…
   E la sua amica e sodale Nina netta e rispolvera le parole come tendaggi e broccati, le metafore come vasellame di pregio o argenterie che tornino a luccicare, a mostrarsi dinamiche, ottimizzate ad alta definizione, per questa scena dolce di un Inferno che ammonisce e salva, lievita a Purgatorio che almeno in sæcula sæculorum possa redimerci: “… qui, a chi non fosse più di lassù, fu concesso di risalire. Fabbricare nuove case, nuove utopie”.

Dare gli arresti domiciliari ai bisogni, ma concedere se non altro la grazia al Sogno! Fine della storia… Nina lo ripete, lo proclama tre volte, come un mantra profetico e adempiuto. E non è Fukuyama, l’economista e politologo americano d’origine giapponese, il saggista de La fine della storia e L’ultimo uomo. È un monito da cui tutto ricomincia, forse l’incipit paradossale con cui finisce il cortometraggio e l’anima esce di casa, nuovamente si libera, è libera nel mondo.   

                                                                        Plinio Perilli


 



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